L’ africano che cura i pazzi Repubblica — 27 novembre 2008

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“I pazzi di Grégoire” è il titolo del libro di Valerio Petrarca, recentemente edito da Sellerio (ed è anche il titolo del terzo capitolo che rivendica la centralità non solo emblematica dell’ argomento). Il Grégoire di cui parla Petrarca è ben conosciuto in Italia e l’ argomento è familiare a chi scrive, come a tutti coloro che in Italia si occupano di salute mentale dalla parte delle persone sofferenti. S i tratta di Grégoire Ahongbonon che ha ricevuto nel 1998 il premio “Franco Basaglia” per la sua opera straordinaria di denunzia e di forte antagonizzazione delle atrocità commesse in Costa d’ Avorio contro i malati mentali. Valerio Petrarca è andato lì a vedere e qui occorre dargli subito la parola: «Grégoire Ahongbonon è un africano che si prende cura degli africani, di quelli che stanno peggio di Gesù Cristo sulla croce: uomini, donne e bambini della Costa d’ Avorio incatenati a vita alle radici di un albero, che mangiano gli avanzi gettati loro per terra dove vanno di corpo~ Aspettano la fine della loro agonia nel fondo del pozzo della dimenticanza umana, nascosti dalla vegetazione o da un muro». Forse non sarà molto elegante riportare direttamente le parole dell’ autore, ma l’ espressività di Petrarca è qui insostituibile. Il libro è quasi tutto così e dunque la prima cosa che si ha da dire al lettore è quella di andarselo a leggere con i propri occhi. Nessuna descrizione antropologica può essere così scientificamente appropriata come quella che deriva da una conoscenza diretta, intensa, sofferta, multilaterale, “partecipata”. E nulla di quello che così si conosce può modificarsi senza azioni dirette, antitetiche, appropriate, senza trasformazioni marcate. Petrarca lo dice così: «Grégoire cerca queste creature, le riscatta dalla famiglia e dal villaggio, le libera dalle catene, le lava, le veste e le porta con sé nei suoi centri di accoglienza per gli ammalati di mente, nella speranza di resuscitare in ognuna di loro una reliquia di umanità». Dopo aver ricevuto nel 1998 il premio Basaglia, Gregorio Ahongbonon incomincia ad andare periodicamente all’ estero portando indietro soldi, appoggi, notorietà per la sua causa (e per la nostra): un’ attività grandiosa, continua, coerente e, per la descrizione di quello che accadde, si rimanda ancora al libro. Ma già il senso è preciso: conoscenza partecipata attiva e trasformazione dell’ esistente sono la base necessaria di una conoscenza antropologica estensionale: senza immersione completa e attiva nell’ insieme antropico intenzionato, non vi è alcuna conoscenza, nemmeno parziale. Valerio Petrarca ha fatto questo per una evidente scelta non solo culturale, politica ed emozionale, ma anche pienamente e necessariamente scientifica. Analogamente negli anni Sessanta alcuni psichiatri italiani giovani smisero di scrivere di un’ astratta antropofenomenologia esistenziale nelle università e andarono a lavorare in manicomio, girando continuamente nei reparti, togliendo con le loro mani le camicie di forza, aprendo le porte, parlando a quelli che da anni non parlavano, cantando e ballando con loro, iniziando assemblee dei matti, mandandoli fuori: una pratica complessissima, continua, faticosa, foriera di conoscenze nuove, impreviste, talora inattese, che permise di curare tanta più gente senza doverla più “internare”. E poi il manicomio fu abolito e il lavoro di salute mentale fu istituito in tutto il territorio nazionale, i servizi territoriali iniziarono la loro attività ed estesero la pratica dei diritti dei malati mentali~ ma qui inizia un’ altra storia perché presto si profilò la regressione politica e si accentuò la degenerazione clientelare fino a divenire totalitarismo nel senso stretto del termine: il manicomio distrutto fu reintrodotto in modi vari surrogativi nel territorio e tornò la camicia di forza nel 67 per cento dei servizi ospedalieri. Di ritrattazione della riforma che abolì il manicomio, parlano ora quegli psichiatri e quegli psicologi che non andarono allora nei manicomi e se ne rimasero chiusi nelle loro università e nei loro studi privati. Il libro di Valerio Petrarca ha una dimensione scientifica, oltre che ideale, politica e culturale, ben più ampia di quelle (antropologico-trasformazionale e storico-politica) che qui si sono accennate, trascurando altri aspetti importanti di contenuto e di implicazione. Ma la lettura degli altri argomenti e la considerazione degli altri filoni di ricerca, qui trascurati, è altrettanto interessante e utile. E così il senso finale di questa breve e imperfetta presentazione sta nell’ invito caloroso a tutti di leggere il libro. Subito. – SERGIO PIRO

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